ROSIERA

1909, IDILLIO TRAGICO IN TRE ATTI DI CARLO ZANGARINI E VITTORIO GNECCHI

Nel 1909 Vittorio Gnecchi completa, dopo più di due anni di lavoro, la composizione de La Rosiera, idillio tragico ambientato nel Settecento su libretto tratto da On ne badine pas avec l’amour di Alfred De Musset.

Le esecuzioni a cavallo del 1930

Andata in scena per la prima volta solo il 16 febbraio 1927 al Reussisches Theater di Gera, è stata integralmente ripresa in forma scenica il 23 novembre 1927 a Pilsen in Cecoslovacchia, il 31 marzo 1928 alla Volksoper di Vienna, diretta da Ludwig Kaiser, e il 28 novembre 1929 a Barmen, in Germania.

Il Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Trieste l’ha messa in cartellone nella stagione 1930-31, diretta da Giuseppe Baroni; il Teatro Alighieri di Ravenna il 14 giugno 1932, sotto la direzione di Giuseppe Del Campo.

CAPITOLO 1

La trama

Il barone di Salency, progetta le nozze tra il figlio Perdicano e la nipote Camilla, appena uscita dal collegio. Ma l’intraprendente e baldanzoso Perdicano trova resistenze dalla ritrosa e timida Camilla. Lui allora si rivolge a Rosetta, sorella di latte di Camilla, che si lascia sedure dal giovane. Camilla s’ingelosisce, ma non volendo ammettere di essere innamorata del cugino, fa proponimento di chiudersi in convento. Il secondo atto si apre coi festeggiamenti per Perdicano e per Rosetta, in procinto di essere eletta Regina delle Rose del villaggio, turbati però dalla tensione fra Perdicano e Camilla ingelosita. Quest’ultima, ormai cieca di gelosia, convince Rosetta ad assistere a una scena patetica ch’ella stessa reciterà col cugino.

Di fronte a Perdicano, Camilla però non può fingere e rivela appassionatamente i suoi reali sentimenti d’amore. Rosetta, resasi conto di essere stata vittima di un crudele gioco, decide di darsi la morte. Sulla scala del castello cosparsa di rose, dove sfileranno Camilla e Perdicano, sposi felici, Rosetta si uccide con la falce delle rose. Di fronte al sangue di lei, i due giovani, consapevoli delle loro responsabilità, si sentono puniti e si dividono per sempre.

CAPITOLO 2

Lo stile nuovo

Altra opera, altro stile, com’ebbe a sottolineare anche il critico musicale triestino Gian Giacomo Manzutto:


«Gnecchi cercò per tanto un contrapposto, che gli consentisse nel soggetto come nella tecnica un trattamento più tenue. Dopo aver attinto alla grandezza dell’epica tragedia, volle discendere all’idillio. Ma, non sdolcinato come quelli dei melici, tuttavia in possesso di un lampo di tragicità. Passò così dalle forti passioni travolgenti a quelle tenui, accarezzate da gentile soffio romantico quale trovò nel delicato proverbio del De Musset, ove un lieve sfiorare di sensualità è abbellito da idealità d’alta poesia.

Egli poté così dipingere a pastello, staccarsi un po’ anche dall’impostazione del dramma musicale dalle origini monteverdiane, accostarsi di più ai nostri classici dell’Ottocento, allorché allietavano di figurine gioconde i loro melodrammi, dando però a codeste figure un spolvero di sfavillante modernità. Poté alternare il riso caricaturale con tenaci accenti d’amore, ammozzare la risata in uno spasimo di dolore, come quello che scocca dalle labbra della tradita allorché ridono, liete le compagne, all’appressarsi delle nozze. Poté attingere ancora, a limpide fonti popolari, incanti di sapore folkloristico, in danze di maggiore, quasi paesana semplicità inventiva. Ecco pertanto gli elementi fondamentali della “Rosiera”, squisito quadretto ove alita un soave senso di poesia».

Partitura dell'Opera:

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